Docenti fuori sede ignorati da tutti, e non sempre le certificazioni della legge 104 raccontano la verità

NAPOLI - La scuola non è solo didattica, didattica a distanza, docenti, allievi, presidi, personale Ata. La scuola è anche il mondo invisibile dei docenti in esilio, quelli che da anni insegnano lontano da casa e da anni non riescono a ricongiungersi con la famiglia, a ritornare nei propri lidi. Mentre in Parlamento si continua a dibattere sulle modalità di riapertura del prossimo anno scolastico, delle modalità di reclutamento dei nuovi insegnanti, c’è uno spaccato di universo scolastico che vive nell’ombra e che, per dirla con Pascoli, «pigola sempre più piano».

E allora per far sentire la propria voce, per riportare al centro del dibattito l’annosa questione dei trasferimenti, è iniziata la protesta di chi nella scuola lavora ma sembra non avere il diritto di ritornare a “casa”.

«In questi giorni – spiega Ylenia Franco, vicepresidente del Movimento Docenti Caserta – si parla tanto di scuola ma nessuno ha detto, finora, una parola sulla sorte dei docenti fuori sede. Eppure siamo tanti. Tanti docenti che, ben prima del 2015, affidandosi alle leggi allora esistenti, hanno preso decisioni e fatto scelte di cui ancora oggi pagano le conseguenze».

Franco è di Marcianise, provincia di Caserta, insegna a Roma da 14 anni, da 5 anni è di ruolo; docente nella scuola primaria, è insegnante di sostegno. Da allora, e come lei una moltitudine di sue colleghe, non riesce a tornare a casa. Si sentono esiliate, si definiscono esiliate.

«Ho lasciato Catania, la mia città – dice Luana Scalia, insegnante siciliana specializzata per il sostegno in ruolo fuori regione dal 2012 - nell'anno 2000 per trasferirmi a Roma dove mi sono laureata in Scienze della Formazione Primaria conseguendo anche il titolo di specializzazione per il sostegno, per poi ricevere la prima proposta di supplenza nel 2006. Da allora sono passati 20 anni e continuo ad essere immobilizzata nella capitale, vittima di un algoritmo errato e di interventi scolastici che non hanno dato valore alla meritocrazia. La Sicilia piange la mancanza di insegnanti per il sostegno, gli insegnanti specializzati per il sostegno siciliani titolari fuori sede piangono la lontananza dalla propria terra e dalle proprie famiglie».

Quello dei mancati trasferimenti è un dramma nel dramma. La lontananza, l’assenza della famiglia, il mancato riconoscimento di un diritto.

«Sono una docente della provincia di Salerno – aggiunge Doriana D'Elia -, specializzata sul sostegno, in ruolo dal 2014 a Milano e poi trasferita a Potenza. Perché Milano? Nessun tentativo di ottenere scorciatoie per il ruolo, fu l'unico ente scolastico che nel 2009 diede un'interpretazione corretta delle limitazioni allo sbarramento delle graduatorie provinciali sull'analisi del mio percorso universitario.
Ma è dal 2014, anno della mia immissione in ruolo, che mi sento realmente precaria: di ruolo per legge, ma precaria nell'animo, a causa di un senso di immobilizzazione, dato dai diritti acquisiti col contratto a tempo indeterminato. Chi per vari motivi si ritrova una sede lavorativa fuori dalla propria provincia avrà poi le beghe di vedersi ridotte del 70% il diritto allo spostamento. La battaglia che in questi giorni gli insegnanti immobilizzati stanno portando avanti non è una mera rivendicazione dei singoli, ma piuttosto una lotta per il riconoscimento di diritti che sono alla base del funzionamento ottimale della scuola. Gli insegnanti precari, immobilizzati e soprattutto quelli specializzati sul sostegno, hanno un ruolo fondamentale nel sistema scolastico, perché contribuiscono alla didattica, alla crescita degli alunni ed al supporto indispensabile per tate fragilità di cui sempre più si assume coscienza. La stabilità indica anche percorsi più chiari per le famiglie e per gli alunni che necessità di accompagnamento speciale e questo garantisce un pieno sviluppo delle potenzialità di tutti, a cominciare dai più fragili, che nella scuola sono non solo gli alunni e le famiglie, ma anche gli insegnanti che da anni non ottengono risposte in termini di certezza e rispetto».

Tante le voci che si alzano per chiedere attenzione. Monica Attanasio, campana, è fuori regione, nel Lazio, dal 2004; diventata di ruolo con la 107, fase c, «mi sono sentita sbattuta – dice amareggiata - per un anno, inizialmente a Genova ma poi conciliata con Pesaro e Urbino, ovvero Tavullia. Poi di nuovo Roma e da allora sono qui».

Antonella Farina ha come scuola di titolarità l’Istituto Castaldo di Afragola «ma – dice arrabbiata – sono immobilizzata dal 2007; sono ben 13anni e con 7 anni di preruolo!».

Una vita in viaggio e in trasferta senza trovare pace, senza trovare approdo.

«Dal 2003 al 2007 – dice Isabella Addonisio -, ho lavorato a Prato come precaria su posto comune, lingua e sostegno nella scuola primaria; dal 2007 al 2014, sono andata a Roma, con un incarico del Csa su posto comune, sostegno e lingua, e in questo tempo sono stata per un anno docente presso la casa circondariale di Rebibbia. Dal 2015 al 2016 ho avuto l’immissione in ruolo a Bologna. Dal 2016 al 2018, ho lavorato a Velletri (Roma) di ruolo e, come specializzata, sul sostegno. Dal 2018 al 2020, sono in assegnazione provvisoria a Santa Maria Capua Vetere».

Vite sospese potremmo dire.

«Fa molto male – conclude Franco - dovere constatare che cambiano i governi ma resta il disinteresse. Eppure l’ordinanza 3722/2019 ribadisce il principio che la mobilità precede le assunzioni. E i sindacati, che hanno tra i loro iscritti tantissimi fuorisede, ignorano, camuffano, trasformano la situazione per non affrontarla. Quando la senatrice Tiziana Drago ha parlato di ‘mobilità straordinaria’ per i fuori sede, si è accesa in tutti noi una luce, abbiamo visto che qualcuno tra i politici aveva preso a cuore la nostra situazione ed eravamo sicuri che avrebbe incontrato l’appoggio di molti, soprattutto tra i politici del nostro territorio, che dovrebbero conoscere bene le nostre realtà e i nostri sacrifici. E invece nulla. Di nuovo silenzio. Ancora una volta, di noi non si vuol parlare. Ma noi continueremo a gridare per farci sentire».

In questo bailamme di leggi che mutano resta costante il dubbio dei grandi numeri delle 104; i docenti che hanno diritto a precedenze sono così tanti che coprono tutto il fabbisogno richiesto per i trasferimenti interprovinciali. Qualche anno fa il ministero dell’Istruzione effettuò un monitoraggio sulle 104 nella scuola. Il maggior numero di docenti con disabilità o impegnato ad assistere un parente disabile sarebbe in Sardegna dove usufruisce della 104 il 18,27% degli insegnanti, vale a dire quasi uno su 5. Seguono l’Umbria dove al percentuale è del 17,17, la Sicilia con il 16,75% e il Lazio con il 16,36%. In Puglia la presenza dei beneficiari della 104 è del 15,95% e in Campania è del 15,77%. La minore presenza si registra in Piemonte dove la percentuale si abbassa all’8,96%. Sotto la soglia del 10% anche il Veneto con il 9,71%, la Toscana con il 9,84%.

La 104 del ’92 è una legge necessaria, indispensabile, giusta. Non sempre le certificazioni, però, raccontano la verità e a pagare, come sempre, è chi fa per bene il proprio dovere.

di Nadia Verdile

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